Il vento soffiava forte
sull'accampamento. I teepee si dibattevano come vele sferzate dalla
tempesta. La tribù intera aveva deciso che non c'era più tempo per
aspettare, anche se tra poco avrebbe fatto buio e il fuoco attorno a
cui erano riuniti si era spento e le nuvole che correvano verso di
loro non promettevano nulla di buono.
Toro Seduto osservava il fumo fuggire a
nord-est disperdendosi nell'aria densa di umidità. Gli bastò
un'occhiata al cielo per capire che da lì a qualche minuto sarebbe
iniziato a piovere. Dall'alto delle sue sessantaquattro primavere era
stato riconosciuto come guida delle tribù, un ruolo che non gli era
mai andato a genio, e per questo, anche quella sera, mal sopportava
l'idea che tutti pendessero dalle sue labbra.
Mompracem era diventata una riserva
arida. Più di quattro anni fa avevano deciso di impossessarsi di
quella terra desolata, aspra, brulla, dove l'estate il sole bruciava
la pelle e l'inverno il freddo vento del nord pungeva come aghi nella
carne. Avevano rifiutato ogni compromesso con l'uomo bianco, mai
avrebbero lavorato per lui, mai si sarebbero inchinati ai suoi
sporchi giochi di potere. Lo avevano combattuto con le pochi armi di
cui disponevano, resistendo ad ogni suo assalto ogni volta con
sacrifici più grandi. Avevano cercato in tutta quella riserva arida
una zona dove potersi fermare, senza mai trovarla, e così dopo anni
di peregrinazioni e nomadismo la sua gente aveva fame, era stanca di
quegli inverni rigidi trascorsi a mangiare patate e combattere i
nemici che venivano da ogni parte. Ma nonostante tutto la sua tribù
non aveva perso lo spirito ribelle e nessuno voleva ancora arrendersi
all'uomo bianco.
Quella sera Toro Seduto aveva deciso
che eccezionalmente anche le donne avrebbero preso parte alla
riunione, nonostante il disaccordo degli altri capi indiani, e tutta
la tribù, uomini, donne, vecchi e bambini, adesso sedeva in cerchio
attorno ad un fuoco incerto mentre gli ultimi bagliori del sole si
esaurivano aldilà dei monti, lontano dal grande accampamento.
“Abbiamo perso, questa è la verità,
non possiamo più vivere così. Abbiamo combattuto contro tutti, e
cosa abbiamo ottenuto? Nulla. Siamo sporchi, malati, senza niente per
cui vivere, niente da commerciare, Mompracem è stata un
fallimento!”. Esordì Nuvola Rossa senza aspettare che la riunione
avesse ufficialmente inizio “Dobbiamo andarcene di qui al più
presto”.
“Sei un folle!” Attaccò Dieci
Orsi, “Conosci un altro posto che non sia stato preso dall'uomo
bianco? Vuoi forse vivere nel suo mondo?”. Io piuttosto morirò
qui. Dobbiamo resistere, che ci piaccia o no, questo è l'unico modo
in cui possiamo vivere, aldilà di quelle colline c'è solo
l'avarizia, lo sfruttamento e il denaro degli uomini con i fucili.
“Fra poco torneranno di nuovo e
questa volta ci stermineranno tutti se restiamo ancora qui.” disse
Nuvola Rossa.
“Io starò qui ad aspettarli.”
“Morirai”
“E qualcuno di loro verrà con me.”
disse Dieci Orsi sputando in terra.
Toro Seduto ascoltava con calma,
fumando il suo calumet, avvolto in una grande coperta. Si era
immaginato che gli animi si sarebbero scaldati subito ma era stupito
di come Cavallo Pazzo ancora non fosse intervenuto. Se ne stava
vicino al fuoco che non riusciva a scaldare, imprecando contro il
vento e gli dei, ammassando pietre intorno a quella piccola fiammella
che i piccoli squaw cercavano di tenere accesa. Per lui le parole non
avevano mai avuto molta importanza, era un uomo d'azione, che
preferiva i fatti ai discorsi. I suoi occhi scuri lampeggiavano
costantemente di un furore intenso, e le poche volte che parlava, si
facevano più grossi come se fossero sul punto di esplodere.
Con un lento gesto della mano Toro
Seduto chiese la parola, e d'improvviso i due contendenti
ammutolirono.
“Mio padre Bisonte che danza, nella
sua breve vita mi ha lasciato alcuni insegnamenti importanti, e
adesso è giunto il momento di condividerli con voi. Quando avevo
undici anni mi trasmesse le sue conoscenze sull'arte della guerra. In
poco tempo imparai a cavalcare, a usare l'arco, a combattere con il
pugnale e ad affrontare qualsiasi cosa con coraggio e determinazione.
Ma ricordati, mi diceva, la massima abilità di un guerriero è
quella di sconfiggere il nemico senza combattere.”
“Io credo che sia finito il tempo di
andare contro l'uomo bianco. Finché lo combatteremo con l'odio
sterminatore degli spiriti malvagi che lui usa su di noi, non potremo
mai vincere
Non sconfiggeremo mai l'uomo bianco se
continueremo ad usare le sue stesse armi. Non dobbiamo andare contro
l'uomo bianco, dobbiamo andare oltre l'uomo bianco.
“Che cosa vuoi fare allora vecchio?”
lo interruppe furente Cavallo Pazzo.
“Io propongo di deporre le armi,
oltrepassare quelle colline, e cercare nuove terre fertili.” disse
Toro Seduto.
“Ma aldilà delle colline vive l'uomo
bianco! Ci uccideranno, ci stermineranno!”, sbottò Nuvola Rossa
“Non riusciremo mai a vivere con loro”.
“Ci vestiremo come loro, faremo finta
di comportarci come loro, l'uomo bianco è stupido, quando avremo
assunto il suo aspetto ci lascerà in pace. L'uomo bianco non sa
vedere che con gli occhi.” disse Toro Seduto.
“E' una follia, così facendo
tradiremo noi stessi, le nostre radici, la nostra storia” si oppose
Piedi Neri, “Tu vuoi tradire il tuo popolo e interrompere il nostro
cammino lungo la strada che porta alla felicità.
“Non esiste una strada verso la
felicità. La felicità è la strada. Io non voglio tradire nessuno.
Se portiamo la pace e la forza dentro di noi non ha importanza dove
andremo, tutte le strade ci porteranno nel posto giusto. Possiamo
essere felici ovunque. Non abbiamo più bisogno di nasconderci nelle
nostre tane, di vivere con la paura dell'uomo bianco.”
Udendo queste parole un gran vociare si
diffuse nella tribù, alcuni davano cenni di assenso con il capo,
altri, sopratutto i più giovani scuotevano la testa torturandosi le
mani dalla rabbia.
“Queste sono le parole di un codardo”
disse Nuvola Rossa con disprezzo. “Tu ci stai tradendo”.
“Tradisce solo chi rinuncia ad essere
felice.” gli rispose impassibile Toro Seduto.
“Ho sentito parlare di una valle, a
ovest delle Cime Nevose dove il sole splende ogni giorno dell'anno.
La chiamano Passargada.” disse Dieci Orsi. “Me ne parlano da
quando ero bambino e ho sentito dire che laggiù il grano cresce
altro tre metri e le mandrie dei bisonti sono così grandi che quando
si muovono senti la terra tremare e gli uomini non conoscono la
guerra e lavorano insieme condividendo tutto quello che producuno.
Potremmo provare a cercare quel posto.”
“E' troppo pericoloso, ribattè Piedi
Neri, e poi non sappiamo nemmeno dov'è, non conosciamo nessuno che
ci sia mai stato.”
Ma la tribù andava eccitandosi
all'idea di lasciare le fredde e inospitali terre di Mompracem e
grida di giubilo si levavano al cielo mescolandosi allo scoppiettio
dei ceppi accesi. “A Passargada, a Passargada !! “ gridavano
entusiasti molti, senza avere la minima idea di come potevano
arrivarci.
“Conosco quel posto, disse Toro
Seduto.” Poi fece una pausa e lentamente aspirò il fumo del suo
calumet. Tutti gli occhi erano puntati su di lui.
“Che aspetti vecchio”, disse
Cavallo Pazzo, “dicci dov'è”.
“Molte leggende sono nate su quella
valle, ma la verità è che non è un posto reale. Passargada è un
luogo della mente. E' dentro di noi.” rispose Toro Seduto.
A quelle parole la tribù prese a
rumoreggiare, alcuni si alzavano spazientiti, altri discutevano
animatamente, i bambini infreddoliti piangevano, Piedi Neri scuoteva
la testa poco convinto mentre Toro Seduto rimaneva in silenzio
osservavando davanti a sé le ultime luci dell'imbrunire sparire
nella notte. La luna piena brillava argentea, contesa tra le stelle e
le nuvole. Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere sulla
tribù riunita intorno al falò, tutti iniziarono a tornare confusi e
scoraggiati verso le proprie tende.
In mezzo a tutto quel trambusto Cavallo
Pazzo si alzò e iniziò a camminare allontanandosi velocemente
dall'accampamento.
I suoi lunghi capelli lisci si
libravano nel vento come erba selvatica e il suo passo era sicuro e
forte come quello di un cacciatore che ha appena individuato la sua
preda. Poi tutto a un tratto si fermò e iniziò a scavare a mani
nude una piccola buca. Quasi nessuno si era accorto di lui, solo Toro
Seduto lo osservava con la coda dell'occhio. Quando Cavallo Pazzo
ritenne di aver ultimato la sua opera, si tolse il tomahawk che
portava sempre legato alla sua schiena e lo seppellì. Poi saltò in
sella al suo cavallo, guardò con occhi iniettati di sangue il cielo
attraversato dalle saette che velocemente avanzava verso
l'accampamento. I tuoni scuotevano la terra e una fitta pioggia
cominciava a cadere sempre più intesamente. Cavallo Pazzo si chinò
sul suo purosangue e sussurrò qualcosa nell'orecchio dell'animale
che nessunò poté udire. Poi strappò un ramoscello di cedro e
puntandolo con il braccio teso verso l'orizzonte con un grido si
lanciò al galoppo contro la tempesta, scomparendo nelle tenebre.